Critica alle opere pubblicate

Pasquale Di Matteo
L’arte di MassimoFalegnami è la rappresentazione del suo giudizio sul mondo, che scompone conocchio critico e ne rivela l’anima vibrante attraverso una grammatica dimateria e di sensi che trasforma la sua osservazione in un’enciclopedia visualedelle sue elucubrazioni. La sua sintassi cromatica è fortemente radicata nelcontemporaneo, sospesa in una dimensione atemporale che si fa atto diresistenza poetica contro la superficialità degli sguardi del nostro tempo,troppe volte fugaci, distratti e incapaci di andare oltre la superficie.L’artista ci invita a toccare l’invisibile con le dita della mente, ma anchecon utilizzando il senso del tatto, grazie alla proposta di opere che sonomateriche organiche, terrose, con materiali naturali e cromie che si estroflettonodai supporti.
Falegnami non dipingepaesaggi o figure, bensì il respiro della materia, il suo lento pulsare traerosione e rigenerazione. Ogni sua creazione è una mappa tattile di emozioni,un diario geologico dell’anima che sfida i confini tra arte e filosofia, trapercezione e trascendenza. Per Falegnami, la realtà non è un dato oggettivo, maun palinsesto di sensazioni in attesa di essere decifrate. Il suo approccioevoca quello di un archeologo, che scava strati di significato attraverso lamateria naturale, trasformando crepe, pieghe, sedimentazioni in geroglifici diun linguaggio primordiale, in cui prevalgono i colori della terra, quellilegati ai valori familiari e alle radici. La sua personalità, introspettiva,quasi sciamanica nella dedizione al gesto creativo.
Ed emerge nellatensione tra controllo e abbandono, con opere che non nascono da progettiprecostituiti, ma da un dialogo istintivo con i svariati materiali, in cuil’artista dà spazio al gesso e l’organico che si spacca come terra arida, allacarta che si contorce in faglie emotive, a pigmenti che sanguinano in fiumi dimemoria ed eruttano come vulcani. Qui risiede il paradosso della sua poetica,che, pur essendo profondamente radicata nella fisicità, trascende il tangibile,con cromie che non decorano, ma aprono portali verso le dimensioni delpensiero. Una tela di Falegnami, dunque, non è solo un supporto, ma piuttostoepidermide che registra il passaggio del tempo, aneddoti e sensazioni, come unalbero crea nuovi anelli.
In questa alchimia,Falegnami rovescia il rapporto tradizionale tra artista e materia, per cui eglinon domina i materiali, bensì li ascolta, rispettandone la volontà organica. Ilrisultato è un’arte che sfugge alla tirannia dell’intenzionalità, diventandodocumento di un incontro tra forma e caos. Lo stile di Falegnami sfida ognicategorizzazione, utilizzando l’organico per lasciarlo macerare e talvoltaammuffire.
Potremmo definirlo unespressionista materico, se non fosse per la rigorosa eleganza che disciplina la sua apparenzaanarchia con cui comunica sensazioni e concetti. Le opere nascono da unprocesso alchemico dove nulla è casuale, pur simulando il caso.
L’artista dimostra ilcontrollo minuzioso del restauratore e il gesto brutale dello scarificatore,denotando come sia in gradi di creare tensioni visive che elettrizzano losguardo. L’uso di materiali "poveri", a cominciare dalla carta,diventa manifesto etico-estetico. Falegnami, quindi, non teme la fragilità, mala celebra. Le sue superfici sembrano sopravvivere a un cataclisma, con quellecrepe che ricordano cicatrici, sbavature come ferite mai rimarginate, maproprio in questa vulnerabilità risiede la loro forza. La tecnica è un trionfodelle forze primordiali della natura, con stratificazioni che imitano glistrati geologici, pigmenti applicati a secco come polveri vulcaniche, colaturecontrollate che simulano l’azione millenaria delle piogge.
Tre elementidefiniscono il suo linguaggio: trama, tempo, trasformazione. I costrutticromatici non sono mai fini a sé stessi. Quelli rugosi evocano pelle antica,quelli lisci specchi d’acqua primordiali. I colori, ocra che bruciano comedeserti, bianchi spettrali di gesso, blu notturni solcati da venature d’oro,costruiscono un’orchestrazione cromatica tra lutto e rinascita. Ma è neltrattamento del tempo che Falegnami raggiunge vertici di originalità, grazie aopere che sembrano catturare istanti di metamorfosi, con la crepa che sta perpropagarsi, lo strato che sta per staccarsi, il colore sul punto di sgretolarsi.Questo tempo sospeso genera un’inquietudine sublime, dove lo spettatore avverteche l’opera continuerà a mutare anche dopo il suo sguardo, diventando complicedi un divenire infinito. Le opere di Falegnami sono parabole che ci ricordanola caducità della vita. Le crepe non simbolizzano la distruzione, ma l’energialatente nella frattura. Perciò, ogni rottura è un nuovo inizio, ogni erosioneuna possibilità. I materiali deperibili diventano metafore della condizioneumana. Le emozioni suscitate sono ambivalenti: la maestosità di un canyon siscontra con la vertigine del precipizio; la calma minerale delle superficinasconde fremiti tellurici. Falegnami non consola, ma interroga. Le sue operechiedono allo spettatore di abbandonare la passività del guardare perabbracciare il rischio del sentire, del riflettere e del proporre.
Non a caso, moltesembrano chiedere di essere toccate, perché la vista non basta e serve uncoinvolgimento corporeo totale. La visione di Falegnami è un umanesimo radicaleche trova bellezza nella ferita. Per lui, vivere significa accettare di essere
superficie intrasformazione, essere spazi dove le cicatrici non vanno nascoste, ma esibitecome medaglie di sopravvivenza. La sua arte è una pratica di resilienza, concui trasformare lo sgretolamento in pattern, la polvere in stelle. Il rapportocon le emozioni è dialettico, poiché l’artista non le illustra, bensì leincarna. Un’opera non rappresenta la tristezza in quanto tale, ma è tristenella sua consistenza fragile, gioiosa nel luccichio di una foglia d’oro cherisorge dalle crepe
Questa capacità ditradurre sentimenti in qualità materiche rende Falegnami un poeta deltangibile: le sue tele sono verbi coniugati al modo infinito, dove ognispettatore trova la propria coniugazione. La passione per la natura non è meraispirazione tematica, ma adesione etica alle sue leggi. Falegnami non dipingealberi, ma ne applica la filosofia, per cui bisogna crescere attraverso ferite,trovare luce nelle fenditure, accettare la decomposizione come preludio allafioritura. Le sue opere sono esercizi di empatia cosmica perché insegnano avedere il mondo come un organismo vivo di cui siamo parte e non soltantospettatori. Nell’era dell’immagine liquida, che sfuma dopo poche ore, Falegnamicrea icone della resistenza materica.
Le sue opere non siconsumano in uno scroll, ma obbligano alla lentezza, alla contemplazioneattiva, una contemplazione assertiva e che costringe a mettersi in gioco. Ognicrepa è un invito a cercare radici nella fragilità, ogni strato una sfida avedere oltre l’ovvio. Quest’arte non vuole piacere, ma, soprattutto, vuolerisvegliare menti e coscienze. Come monaci zen che colgono l’illuminazionenella cerimonia del tè, Falegnami trova l’universale nel gesto minimo di mescolaregesso, organico e pigmenti. La sua grandezza sta nel ricordarci che la bellezzanon è perfezione, ma coraggio: di mostrare le proprie crepe, le propriedebolezze e i limiti, di accettare di mutare, di restare fedeli al caoscreativo che ci abita. In un mondo ossessionato dall’eternità digitale, leopere effimere di Falegnami sono atti di libertà. Ci insegnano che per essereimmortali, bisogna prima imparare a sgretolarsi. E in quel gesto, così umano,persino divino, risiede il miracolo dell’arte che non descrive la vita, ma lavive.
Pasquale Di Matteo
Critico d’Arte eScrittore
giovedì 31 luglio 2025
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